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  I MIEI LIBRI - NEI MATTATOI COMUNALI - Testo
  Nei mattatoi comunali             

NEI MATTATOI COMUNALI

Luigi si fermò accingendosi a traversare il viale, venato da due linee contrapposte di auto che s’incrociavano lentamente; e nelle soste che precedevano i lenti avanzamenti, signore si facevano il trucco, impiegati sfogliavano il giornale appoggiato sul volante, scolari con i nasi schiacciati ai vetri facevano linguacce agli occupanti di altre auto.

Non che gli altri giorni il traffico fosse ordinato, ma quella mattina, pensò Luigi, osservando il semaforo posto in corrispondenza del passaggio pedonale, il transito delle auto era decisamente intrigato. Si accorse che avrebbe potuto attendere un’intera giornata il segnale verde per traversare il viale; infatti il semaforo funzionava soltanto con la luce gialla intermittente. Era questa la causa del caos e a conferma Luigi guardò ai semafori lontani che, distanziati circa duecento metri l’uno dall’altro, sezionano il lungo viale che uscendo dai sottopassaggi della ferrovia conduce alla zona industriale e al raccordo autostradale. In effetti tutti i semafori erano sincronizzati sulla luce gialla che specchiandosi sull’asfalto bagnato dalla pioggerella di quel mattino invernale creava suggestivi riflessi miscelandosi con la nebbia.

Finalmente si mosse penetrando aggressivamente, non senza timore, nel passaggio pedonale: alcuni clacksons urlarono nervosi ma infine Luigi raggiunse l’altra sponda del viale dirigendosi verso una vicina edicola. Acquistò il quotidiano cittadino e leggendo la prima pagina entrò in un bar. Bevve velocemente un pessimo caffè incuriosito da un articolo della cronaca cittadina che commentava lo scandalo delle statue ornamentali della facciata dell’austero duomo, e che erano state rimosse molti anni fa per un necessario restauro. Da allora non si era più saputo niente delle statue, ed erano trascorsi quasi dieci anni. Finché una denuncia anonima era pervenuta al quotidiano locale che dopo attenta verifica, confermata dall’articolista, l’aveva riportata in prima pagina.

Lentamente l’interesse si era affievolito senza che peraltro la vicenda fosse stata chiarita. In pratica almeno due delle statue, e vi erano fotografie che lo confermavano, decoravano il giardino della villa di un noto esponente del partito politico da molti anni al governo della città. Naturalmente l’uomo politico ignorava: sia la presenza delle statue nella sua dimora, dato che impegni politici lo tengono costantemente lontano dalla città, sia che la moglie le avesse acquistate da un noto antiquario. Questi affermava che i pezzi non erano originali, bensì delle copie ottocentesche, e che niente avevano in comune con quelle in restauro; che però nel frattempo erano scomparse.

Insomma un grande bollito di accuse, ritrattazioni, querele, controquerele: tutto a ritmo vertiginoso. E anche gli esami chimici ai materiali delle statue, che avevano confermato l’esecuzione dell’opera nel tredicesimo secolo, erano stati confutati dal Direttore del Museo del Duomo che aveva fatto nominare un’altra commissione dal Ministero della Cultura.

Non era un gran scandalo, rispetto ad altre notizie riportate in quei giorni sui giornali, e Luigi abbandonò la lettura rivolgendosi al barista per l’informazione necessaria onde poter sbrigare la formalità e rientrare in ufficio entro i termini del permesso concessogli. Pagando chiese dove fosse il “Centro raccolta auto rimosse coattivamente per intralcio alle operazioni di pulizia stradale”. E formulando la domanda non poté, ancora una volta, riflettere sulla costruzione lessicale usata nella dizione degli avvisi comunali.

Effettivamente era a conoscenza che da due mesi, nella notte tra il mercoledì e il giorno successivo, veniva effettuata la pulizia stradale del quartiere dove abita, ma la descrizione riportata dai cartelli, segnalanti anche le sanzioni cui sarebbero incorsi i contravventori al divieto, non gli aveva chiarito il rischio effettivo corso dall’eventuale distratto automobilista.

Purtroppo per Luigi il parco auto, che poi si riduceva, nell’informazione di un amico, ad un enorme piazzale asfaltato creato su un grande prato, e da qui il nome di parco, posto tra due scuole, una elementare e l’altra media, site nel viale stesso, rimaneva all’estremità della città, verso la piana dell’aeroporto: assai distante dalla propria abitazione.

Il barista indicò attraverso i vetri appannati la zona del piazzale e mentre Luigi si congedava avvertì: “ faccia attenzione che l’ingresso è comune con i Mattatoi Comunali: vada sempre a destra e non sbaglierà.”

Il luogo indicato si trovava a circa quattrocento metri dal bar, tragicamente dall’altra parte del viale: Luigi avrebbe dovuto di nuovo traversare l’arteria nella quale il traffico era ancora aumentato, causa un tamponamento che intralciava il già difficile scorrimento delle auto.

Questa volta passare il viale fu più agevole, il traffico si era bloccato del tutto e alcune persone attorniavano le auto coinvolte nell’incidente. Un uomo, seriamente ferito, era adagiato sul freddo asfalto, protetto da alcuni soprabiti, mentre il sangue scorreva fumante da una larga ferita ad una gamba liberata dai pantaloni.

L’ingresso contrassegnato dal numero sei, più che l’accesso ad un autoparco pareva una monumentale porta cittadina, tanto era imponente e danneggiata dal tempo nelle sue forme architettoniche risalenti ad un’epoca in cui i termini di produzione, evidentemente, consentivano progetti e rifiniture che oggi sarebbero considerati improponibili per l’onerosità. Luigi entrò nell’ampio vano sormontato da una volta a botte che un tempo doveva essere affrescata o quanto meno decorosamente tinteggiata con motivi zoomorfi dei quali restavano alcune impronte particolarmente sulla parte lontana dalle macchie di umido che invece avevano danneggiato, sbriciolandolo, l’intonaco delle pareti.

All’interno della porta, profonda circa dieci metri, due chiostri in legno, accostati alle umide pareti, indicavano che un tempo transitare da quel varco necessitava di particolari adempimenti. Nessuno alloggiava nei chiostri e da parecchio tempo, poiché l’acqua filtrata dalle pareti aveva marcito il legno.

Mentre si attardò verso l’urlo della sirena per l’uomo disteso sull’asfalto, Luigi trascurò l’indicazione del barista, considerando però che un unico cancelletto si apriva dal cortile posto subito dopo la porta, non ebbe dubbi e si diresse in quella direzione.

Percorso un viottolo sterrato tra due alte pareti, raggiunse un cortile più ampio del precedente: difficile da quel posto immaginare la presenza di un autoparco…anzi, siccome tutte le stradine che dipartivano da quello spiazzo erano strette da alte mura di grandi capannoni, come all’interno di un complesso industriale, Luigi temette di aver sbagliato percorso e si lamentò con se stesso, al solito, di non aver rispettato le indicazioni ricevute.

Vi era sul lato destro del cortile una porta aperta, ovvero un’ampia apertura dalla quale evadevano rumori di congegni meccanici e forse anche voci di qualcuno che avrebbe potuto correggere l’itinerario di Luigi. L’apertura immetteva in un grande capannone la cui copertura era sorretta da tralicci di metallo intersecati da lunghissimi nastri di acciaio dai quali pendevano ganci metallici che trasportavano qualcosa che in un primo momento, data la differente luminosità con l’esterno, Luigi non identificò. Sembrava di essere al cospetto di una sofisticata catena di montaggio di una grande fabbrica di auto, dove parti di queste scorrono in sospensione trainate da sincronizzati congegni.

“ Ma quella è carne! “, esclamò Luigi osservando ciò che veniva trasportato dai ganci. Anzi per meglio dire erano tronchi di animali simili a quelli in mostra nelle macellerie: circolavano lentamente poco sotto il soffitto come danzando.

Luigi si addentrò all’interno del capannone osservando curiosamente tutta quella carne proveniente chissà da dove. Pensò, non senza un colpevole rimorso, che nonostante le raccomandazioni delle autorità economiche e di quelle sanitarie, il consumo di carne doveva essere ancora molto elevato. E dire che quando era ragazzo, il simbolo del benessere raggiunto, oltre alla prima auto, era proprio la quantità di carne consumata dalle famiglie…Oggi se si dovesse essere fedeli a quanto viene raccomandato, non dovremmo quasi toccarla…non in senso metaforico ma proprio per i focolai di epidemie a seguito dei mangimi utilizzati in certi allevamenti.

“Quello è un uomo!” urlò inebetito osservando un gancio pochi metri più avanti che trasportava, tra un tralcio e l’altro di manzo, un corpo umano.

“Non è possibile…”, mormorò ad un ipotetico interlocutore, e fece per rincorrere il corpo. Ma ormai il gancio era già lontano verso l’altra estremità del capannone oltre la quale, senza alcun ostacolo in muratura, i nastri voltavano bruscamente a destra e a sinistra scomparendo.

Non poteva trattarsi di un corpo umano, anzi di un tronco d’uomo, ciò che aveva visto scorrere al soffitto tra la carne animale, e quantunque con il passare dei minuti e di altri pezzi di animali, Luigi acquistasse la certezza che la sua era stata sicuramente un’allucinazione, una sottile preoccupazione lo innervosì.

Ma in fin dei conti, meditò, avviandosi verso l’apertura dall’altro lato del capannone dove scomparivano i ganci con il loro trasporto, che cosa significa tutto questo? Devo recuperare l’auto e rientrare in ufficio per le dieci. A conferma guardò l’orologio. Siccome è la prima volta che entro in un mattatoio, la mia sensibilità, anche se inconsciamente, è colpita dalla visione inconsueta dei corpi, che sì sono di animali, ma a parte le dimensioni, e la loro sanguinante nudità, senza i caratteri riconoscibili dell’animale, potrebbero essere anche corpi umani. Sarà seguendo questa relazione che ho creduto di aver visto…Eppure mi sembrava proprio il corpo di un uomo, il collo, le gambe…

Immerso in queste considerazioni arrivò all’estremità del capannone oltre il quale si accedeva in un cortile occupato, quasi interamente, da bidoni accatastati di quelli del tipo usato dall’azienda della nettezza urbana. I nastri voltavano repentinamente percorrendo entro stretti alloggiamenti in lamiera, senza alcun altro riparo per la carne, un breve tracciato rasente i muri del capannone; s’infiltravano in una larga apertura più lontana dalla quale evadeva un denso vapore.

Qualcuno a cui chiedere la giusta direzione per l’autoparco, nemmeno l’ombra. In sostanza, ora Luigi aveva chiare perlomeno le dimensioni del complesso di edifici attorno al quale si era perso: un edificio centrale, il capannone appunto, con due propaggini laterali, più basse e di minor superficie. Dalle aperture di questi due padiglioni accessori effondeva il vapore e per il resto tutto era simile, compreso i rumori meccanici e le voci che sembravano animarsi all’interno, al capannone principale. Ma ciò che disorientava Luigi era la presenza, e lo intuiva dalle mura che stringevano i viottoli, nonché dalla scomparsa delle cime degli alti platani del viale, di almeno altri quattro o cinque fabbricati identici a quello sommariamente identificato e nella topografia del quale si era smarrito. Chissà a quale distanza dal viale…Forse ripercorrendo il cammino sarebbe uscito in breve tempo all’esterno, ma l’idea di traversare ancora il capannone lo scoraggiò, decise perciò, e qui cominciava a manifestarsi un’inarrestabile curiosità, di entrare in uno dei due piccoli edifici laterali.

Udì la sirena che ripartiva, ciò lo incoraggiò anziché farlo riflettere sul tempo, troppo, trascorso tra l’arrivo e la partenza dell’ambulanza: ma il suo cervello ormai continuava a fermentare sull’implosione di quanto credeva di aver visto.

Introducendosi entro la nube di vapore all’interno del padiglione, udì chiaramente qualcuno fischiettare; il fischio poteva anche giungere dall’esterno o dal capannone principale. Il vapore si generava da due enormi cisterne in metallo nero alte alcuni metri e aperte sull’alto, verosimilmente colme di acqua o di qualche altro liquido. I nastri trascinanti i ganci passavano sopra le cisterne, irrorando di vapore i tronchi di carne, proseguivano verso il lato esterno e più lontano da dove proveniva, accentuandosi, il rumore dei congegni meccanici e in particolare il tipico lamento di una sega elettrica.

Il contatto con il vapore dette dei brividi a Luigi e la sensazione di inutile smarrimento. Ma mentre si incamminava verso l’altro ingresso, tra i pezzi di carne animale vide un corpo umano orrendamente mutilato…E questa volta fu certo che si trattasse di un corpo umano.

Non ebbe tempo di connettere idee che già il corpo aveva raggiunto l’esterno, ma il nastro trasportava, adesso, ed era visione allucinante, soltanto corpi umani: uomini e donne.

Luigi sorvegliò stordito quel terribile carosello, il suo cervello si era come congelato, non riusciva a combinare spiegazioni tanto il via vai dei cadaveri… certo si trattava di cadaveri, non morti come le bestie, era al di fuori di ogni credibilità. I corpi umani continuavano a scorrere al soffitto mentre Luigi impietrito e terrorizzato dalla sequenza forzava la gambe per uscire di corsa dal capannone. Ma il terrore lo trattenne finché un ultimo cadavere, quasi intatto, con tutte le parti del corpo integre, concluse il macabro passaggio; poi riprese il transito dei tronchi di animali. A Luigi restò impresso il volto dell’ultimo cadavere e gli corse dietro entro il capannone… Affiancò il gancio che lo trasportava quasi a farsi sfiorare dai piedi sanguinanti, e alzò gli occhi verso l’uomo: il rag. Cavalletti! Luigi lo riconobbe subito.

Avrebbe voluto gridare, non perché pensasse ad un omicidio, il ragioniere era morto tre giorni prima a causa di una malattia, ma vedere quel corpo integro e con il volto di un conoscente rese ancor più drammatica la situazione sviluppatasi in pochi minuti tra quei capannoni.

Com’era possibile che il corpo di un defunto…, gli occhi aperti, le pupille dilatate dal terrore della morte, potesse trovarsi a soli tre giorni dal decesso mescolato alle trance di animali e di altri esseri umani, pronte per essere distribuite alle macellerie cittadine? Da quando all’interno dei Mattatoi Comunali si lavoravano promiscuamente carni umane e carni animali? Tutti questi interrogativi avvolsero Luigi mentre il corpo del ragioniere spariva nel suo prestabilito itinerario. Luigi si convinse di essere preda di un qualche oscuro malessere e trovando la forza di muovere le gambe corse, gli occhi inchiodati sullo scorrere del pavimento sul quale danzavano le ombre degli animali trasportati dai ganci. Ripercorse velocemente il tragitto che lo aveva condotto in quel luogo.

Giunse nel cortile dove più forte si udivano i rumori metallici provenienti dal capannone, gli stessi che come sirene lo avevano richiamato verso l’allucinante labirinto di carne. Ma adesso che sapeva cosa avvenisse all’interno del capannone, ebbe terrore di restare ancora vicino a quei diabolici edifici.

Ritornò alla monumentale porta d’ingresso proponendosi di ripetere il percorso in maniera corretta per giungere all’autoparco. Arrivò fin sul viale, poco oltre la porta, prima di incontrare qualcuno: indossava una divisa verde, sul capo calzava un copricapo con visiera a mezzaluna di tipo militare. L’uomo andò a sedersi su uno sgabello all’interno di uno dei due chioschi: conteggiò qualcosa che lo impegnava, tanto avvolgeva con il corpo un enorme modulo giallo agitando nervosamente una lunga penna verde.

Luigi si avvicinò anticipando la domanda meno importante fra quelle che avrebbe voluto formulare: “ Per favore dovrei andare all’autoparco…”

Senza alzare lo sguardo dal modulo giallo, come seguendo un apatico rituale che lo obbligava a rispondere a domande ritenute non di propria competenza, rispose: “ Da dove è venuto…sempre a destra trova il parco auto…”

“ Sono andato in quella direzione…”, replicò Luigi, sentendo incombere anche la risposta che più gli premeva. “ Mi sono trovato in dei capannoni…”

“ No…no, deve aggirarli lungo il vialetto.”

“ Ho capito…ma dica, da dove vengono tutte quelle bestie macellate che ho visto dentro il capannone principale? “

L’uomo alzò lo sguardo dal foglio giallo e pelandosi un labbro guardò sorridendo: “ Da dove vuole che vengano? Dall’Argentina, dalla Yugoslavia, dall’Irlanda…Non sa che l’ottanta per cento della carne che mangiamo è importata? Hanno fatto tanta propaganda in proposito!”

“ Si certo, però…” Luigi ebbe una pausa: “…Ho notato anche una qualità di carne che non mi sembra provenire dall’estero…”

“ Si spieghi…”

“ Non vorrei essermi sbagliato, non mi prenda per un pazzo per quello che le dirò, credo di aver visto anche dei corpi umani…assieme alle bestie. Corpi orrendamente mutilati, meno uno, che oltre tutto è un mio conoscente…, o meglio lo era dal momento che è deceduto tre giorni fa…”

Non è affatto un visionario, ma perché mi parla di corpi orrendamente mutilati? Non sono forse mutilati anche i corpi degli animali. Oppure immagina che un cadavere soffra di più senza un braccio o una gamba? Certo che ha visto dei corpo umani: i deceduti dell’ultima settimana che dopo accurata visita medica atta a rilevarne l’idoneità, e le posso assicurare la scrupolosità dei controlli, vengono avviati promiscuamente alla ‘segatura’ e poi alle macellerie cittadine. Vedrà che dopo il trattamento completo non riconoscerà più il suo amico tra i pezzi preparati per le vetrine delle macellerie. E magari stasera, senza averne la più pallida idea, si mangerà una bistecca di un insegnante o il filetto di un impiegato comunale.”

“ Non è possibile! “ Urlò Luigi, “ che vengano macellate anche carni umane!”

“ Torni allora nel capannone…” replicò ironicamente l’uomo, “ Non è mica una mia invenzione, è sempre stato così! Piuttosto i suoi scrupoli mi paiono fuori luogo: non vorrà farmi credere che non sapesse…”

Luigi affondò il volto tra le mani. “ E’ terribile… non posso credere…E dice che dovevo sapere! “ Gridò rivolto all’uomo.

L’uomo rivolse uno sguardo beffardo verso Luigi uscendo dal chiosco dopo aver meticolosamente ripiegato il modulo giallo.

“ Vada a prendere la sua auto, “ consigliò.

Luigi restò disorientato dalle parole dell’uomo, un sottile ma preciso timore associava tutto quanto era accaduto nell’ambito di sospetti che da sempre aveva nutrito. Attese da un momento all’altro una risata dell’uomo, ma non rise, anzi seccato si congedò: “ Vada, vada a prendere la sua auto.”

Luigi ripassò dinanzi al capannone volgendo lo sguardo al cielo senza esitazione; arrivò infine al grande autoparco dove un buon numero di vigili municipali svolgevano le pratiche di identificazione e riconsegna delle auto rimosse, non senza riscuotere solennemente la multa prevista.

Il vigile che si occupò di Luigi lo guardò con aria di rimprovero e dopo un decalogo di raccomandazioni per non ricadere nella sanzione, lo salutò militarmente portando la mano aperta alla visiera del suo copricapo.


 
  Nelle sporche acque dei torrenti             

NELLE SPORCHE ACQUE DEI TORRENTI

La donna, ovvero un’ombra avvolta nella caligine accesa dalle gialle pupille delle auto in transito (donna soltanto per il soprabito indossato che rivelava e nascondeva la femminilità), si soffermò davanti alla finestrella sulla parete di un vecchio fabbricato oltre il ponte sul nauseante torrente.

Ogni città ha un torrente, non indicato nelle guide turistiche, che in passato forse ha avuto più volte il suo letto deviato per raccogliere le acque nel fossato difensivo attorno alle mura cittadine, al quale, oggi, è affidato il compito di sopportare i rifiuti di una porzione di umanità. Sul ponte si strozza la moderna arteria che conduce all’attuale periferia e poi alle autostrade intrecciate intorno al vecchio ed inutile aereoporto nel quale, buona parte della giornata, residui gregge di pecore pascolano sui prati attorno alla pista in cemento sbuzzata in più punti da ciuffi d’erba.

Non si tratta di una finestrella ma di una nicchia aperta sulla pietra a formare un irregolare pentagono cuspidato verso l’alto. L’uomo le era vicino reggendo una borsa. Lei introdusse una mano nella nicchia all’interno della quale brillava una fievole luce. Estrasse dal tabernacolo, chiuso sul fondo da un’immagine sacra, un lumino di cera e un bicchiere con dei residui. Raccolse dalla borsa un fascio di fiori protetto da un sottile velo di carta mentre l’uomo rovesciava il bicchiere nel torrente, riempendolo poi con dell’acqua versata da una bottiglietta, di quelle usate per bibite, che estrasse dalla tasca del cappotto. Sistemò i fiori nell’occasionale vaso che riaccostò all’immagine. Restarono alcuni minuti in silenzio; si allontanarono abbracciati frenati dalla pesante borsa.

Il ponte continuava ad essere levigato dal veloce e continuo transito di auto per niente intimorite dalla fitta gabbia di nebbia.

Due pedoni sopraggiunsero dal marciapiede sul lato del tabernacolo. Si fermarono. La donna, il cui cappotto tradiva e nascondeva la sua natura, s’inginocchiò in preghiera. L’uomo accese una sigaretta posando a terra una pesante borsa dalla quale prese un fascio di fiori avvolto in un velo di carta porgendolo alla donna che collocò i fiori nel bicchiere, non prima di averlo vuotato rovesciandone il contenuto nel buio torrente. Anch’essa presa dell’acqua da una bottiglietta estratta dalla tasca. Accostò il bicchiere vicino all’immagine del tabernacolo. Restarono in preghiera. Si allontanarono lentamente trascinando la pesante borsa.

E mentre sulle terrazze delle case vicine la nebbia era trafitta da alberi illuminati, altra gente si accingeva a passare sul quel marciapiede…


 
  Viaggiare             

VIAGGIARE

Accuratamente, e soltanto chi conosce Osvaldo può immaginare la pignoleria con cui pregna ogni atto dell’esistenza, comincia a riempire la valigia aperta sul letto. Sul fondo distende ciò che porterà in viaggio solo per precauzione sapendo, quasi una certezza, che non ne avrà necessità: pigiama, alcuni capi di biancheria intima. Alloggia, nelle tasche che si aprono sulla parte superiore interna della valigia, il necessario per la pulizia e l’igiene del corpo. Tre camice saranno sufficienti e le colloca sopra al pigiama.

Per buona mezz’ora Osvaldo raccoglie e stipa nella valigia l’occorrente in previsione, soprattutto, del clima previsto e delle eventuali varianti allo stesso che potrebbero repentinamente verificarsi. Per ogni possibile variazione climatica aggiunge altri capi. Infine chiude faticosamente la valigia, si guarda compiaciuto allo specchio, esce di casa.

Rientra in casa che è ormai notte; stanco si concede un bicchiere d’acqua fresca. La meticolosità non concede tregua e immediatamente apre la valigia, dopo averla appoggiata sul letto, estraendone, non senza un velo di trasognata malinconia, i capi accuratamente riposti. Ripone con cura tutto nell’armadio, prende il quotidiano lasciato sul tavolo di cucina sdraiandosi sul divano in lettura…Poco dopo si addormenta.



 
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