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  RASSEGNA STAMPA  

 
Punto di Vista · Literary - Aprile 2000

Fin dall’inizio il libro Il cane con la cravatta di Paolo Codazzi edito da Mobydick provoca nel lettore la curiosità della pagina successiva il che è un buonissimo segno. Quello che via via colpisce è l’approfondimento parallelo per la persona e l’ambiente in un binario che porta lontano.

Ogni pensiero, ogni atto e ogni accadimento sono veicoli per affrontare i grandi temi, la morte e la vita, nella rifrazione d’una domanda senza domande che è la curiosità d’indagare. Tutto ci avvia a sentimenti nei quali ci ritroviamo. Le immagini sono spesso simboliste e metafisiche e si alternano con le descrizioni d’un quotidiano di quartiere, come se la lettura ci accompagnasse ad entrare ed uscire dalla città, una Firenze onirica nel cerchio d’un Camposanto dove il macabro è guida per riflessioni distaccate ma indaganti o concreta in descrizioni di architetture. L’interpretazione della città è senza filtri né lascia adito a fraintendimenti. L’osservazione si trasmette in precise sentenze fino al disincanto d’una ricerca psicologica del protagonista intervallata o districata in precisi riferimenti storici. Un romanzo dove la cultura e le informazioni scorrono facilmente così come dovrebbe fluire la cognizione dell’esserci qui e ora e l’indagarsi portare a conoscenze di più vaste interrogazioni (bello il paragone riferito alla madre “quasi un Cristo, uno dei tanti che s’aggirano ignari e inconsapevoli sulla terra, senza alcuna pretesa di resurrezione”) fino a tentare “Il Trionfo della Morte” tra i nascituri di Careggi. Il nodo della cravatta intorno ai resti (una dissacrazione) è un’osservazione del contrasto, di amara ironia. Il bambino che trascina (il proprio?) funerale è una bellissima immagine filmica metafora di una solitudine infantile che vive dentro i muri d’una incomunicabilità dei propri sentimenti col mondo adulto.

Dopo, nell’esperienza dell’insegnamento Viviano dirà “senza che nessuna generazione faccia davvero tesoro dell’esperienza” proprio per l’impossibilità di sapere “cosa sogni un cieco dalla nascita”.

Inoltrandomi nella lettura sono conquistata dalla profonda conoscenza dell’umano, in questo caso del protagonista, che non lascia adito a fraintesi. Tutto il rapporto amoroso è scevro di qualsiasi leziosità in una ossessiva ricerca di risposte, da frammenti e ritagli di memorie, giungendo a verità universali. I miracoli alla rovescia di cui abbonda il giorno, ritornano come il Cimitero degli Inglesi a cadenzare il romanzo dove la ricerca si scontra con l’inutilità delle ripetizioni come in un substrato di disincanto e di assenza.

Le osservazioni che riguardano il giornale La Nazione ritrovato (anch’esso filo d’una suspence che si articola con sapienza dentro le pagine) sono spunti di riflessione sugli immutabili comportamenti umani e il senso di straniamento di Viviano è reso in poche battute senza concessioni e senza appello con una crudezza indagatoria davvero interessante.

La ricerca di sé attraverso la memoria del padre (quasi un Virgilio che lo guidi a districarsi nel labirinto dell’essere) è dentro la città, la storia, il quotidiano, il pensiero, il saputo e l’incomprensibile.

I diversi ripetuti riferimenti su notizie riguardanti il Gruppo Donatello riesumano vicende di una umanità dispersa o scomparsa proponendo un allucinatorio dilatarsi del tempo. Leggendo si respira l’odore ad una città antica, fatta di gente semplice, artisti e artigiani, gente forse diversa da quella di oggi. Si respira l’aria di Pratolini in una Firenze fatta di persone che quasi non s’incontrano più.

Libro denso, significativo. Dove il protagonista percorrendo le strade dell’emozione ricostruisce la motivazione esistenziale, una salvifica ricerca attraverso la scrittura. Un riscatto percepito attraverso l’osservazione e la conoscenza. La Piazza SS. Annunziata, luogo ricco di storia e di presenze, si anima dell’anima del protagonista i cui pensieri sul Caos provocano una catarsi e il funerale, i colori, i cani, la dissacrazione, l’architettura sono fusi in un affresco di parole, emozionante.

“Il concetto del divenire biologico al quale l’uomo si è sempre ritenuto estraneo rintanandosi nell’alibi di credenze ancestrali” è un concetto che condivido.

Il giallo dell’uccisione della modella che viene via via a completarsi attraverso piccoli misteriosi flashes è sapientemente inserito a mantenere l’intrigante curiosità del lettore fin dall’inizio. Un romanzo complesso e avvincente, che si snoda sapientemente in uno stile di scrittura riconoscibile.


Liliana Ugolini 
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