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  CHI ERO  

 

Il sisma, calcolato di intensità cinque della scala Mercalli ( poco più di tre dalla scala Richter, si affrettò a comparare qualcuno riaccendendo l’antica e mai sopita polemica tra i paladini dell’uno o dell’altro criterio di rilevamento germogliata nel periodo in cui anche la merda, se nazionale, possedeva qualità e proprietà del tutto diverse dalle altre, senza che in entrambi i fronti della contesa si fosse realmente compreso le caratteristiche peculiari dell'uno o dell'altro procedimento di stima; altri, con una certa qualche borgesiana ironia, se Borges fosse stato conosciuto, suggerì di attendere la conta di morti e feriti prima di definire la gravità di un terremoto e non con asettiche misurazioni che non tengano conto delle condizione oggettive sulle quali si è accanito il sisma:morfologia geologica dei luoghi, densità delle popolazioni, tipologia delle abitazioni, capacità d’intervento, possibilità di stimolare subito solidarietà esterne - ignorando i progressi che oggi consentono di raccogliere fondi anche attraverso trasmissioni televisive condotte da bellissime donne che forse si prestano gratuitamente alla ambita bisogna), appunto il sisma che la mattina del 25 gennaio di molti anni fa interessò l’alta valle del Mugello, e avvertito con inquieto timore anche a Firenze, particolarmente nel centro storico dove in via Guelfa, nell’ex convento delle clarisse aveva sede provvisoria la maternità, creò forte preoccupazione tra medici e infermieri che proprio in quel momento assistevano mia madre in attesa di partorire o abortire il sottoscritto (attesa velata di comprensibile paura per la perdita anni addietro di un figlio poco prima del parto, ma anche dalla consapevolezza di quanto stava per dare alla luce…, per modo di dire dato che le interruzioni di energia elettrica erano ancora frequenti per i lavori di ripristino della rete quasi del tutto resa inservibile dalla guerra. In quel caso, cioè del mancato primogenito, si ipotizzò un trauma psichico procurato dalle tensioni riferite ai frequenti bombardamenti alleati sulla zona ferroviaria e nei quartieri adiacenti dove abitava la mia famiglia: nonni, genitori, io e poi una sorella, uno zio, in tutto sette persone in meno di sessanta metriquadrati, che aumentavano a nove quando la sorella di mia madre, trasferitasi in altra città con il marito, veniva in visita alla famiglia. Ma l’ipotesi venne diagnosticata da un medico militare reduce dal fronte africano e forse fu condizionata dal pessimismo dell’uomo che, mi riferì spesso mia madre in seguito ricordandomi quei momenti, aveva un sobbalzo nervoso ogni volta che un colpo, uno qualsiasi, frangeva il brusio della sala parto alle cui pareti baluginavano impronte di affreschi quattrocenteschi di un anonimo artefice fiorentino, identificato negli anni ’60 con un pittore attivo nelle botteghe giottesche e quindi ricollocando gli affreschi ad un epoca anteriore di circa cento anni. Ma recentemente gli stessi affreschi sono stati dequalificati all’opera di ignoto imbianchino dei primi del ‘900, dice un autorevole esponente dell’Intelligenza cittadina, ipotizzando però la sovrapposizione di questo intonaco sopra un altro, ben più antico, sul quale sicuramente potrebbero essere individuati gli affreschi di scuola, se non di bottega grottesca, e per il recupero dei quali sono già stati stanziati i fondi necessari in un clima di polemiche continue sollevate da chi vorrebbe che i danari pubblici fossero spesi in modo migliore, sostenendo peraltro la non certezza del ritrovamento e denunciando, nel contempo, il degrado di luoghi pubblici che necessiterebbero di stanziamenti per il loro risanamento: insomma una vecchia città, per quanto soggetto di Storia nelle testimonianze del passato che qualcuno considera patologiche impedendo lo sviluppo moderno della stessa, alla stregua di un anziano – e qui bisognerebbe stabilire una volta per tutte il concetto di anziano - la cui memoria fatica assai a registrare e comprendere gli eventi quotidiani satura com’è di sedimentazioni mnemoniche depositate dal trascorrere degli anni).

Il terremoto, avvertito emotivamente anche da mia madre, anticipò il parto, cioè la mia nascita anagrafica, proprio nel momento in cui lo starnuto tellurico generò un totale parapiglia in sala parto, rallegrata da una sorta di via crucis, ma riferita alla nascita di Cristo, in formelle esagonali di produzione robbiana disposte sulle quattro pareti incattivite dall’umido, con agitazione di infermiere e medici, combattuti dal desiderio di scappare dal luogo, di contro al senso del dovere di restare ad assistere le pazienti, e l’indecisione li rendeva comunque incapaci di ogni e qualsiasi razionale atto pesticciando sull’umido pavimento con un piede verso la scala che conduce all’uscita e l’altro tremante verso la sala, e nella fretta delle azioni qualcuno commise l’errore di non prestare attenzione alla mia esuberante vitalità e nella distrazione generale, salvo mia madre che però in vista della difficoltà del parto era stata tranquillizzata con una modesta dose di anestetico (come quella giovane madre di edimburgo, Eufane Mac Ayane, che nel 1591, dando alla luce due gemelli in un complicato parto implorò che le venisse dato qualcosa per alleviare il dolore e pochi giorni dopo il felice parto fu prelevata dalla sua abitazione, gettata in una fossa e sepolta viva nonostante le sue proteste di innocenza: ma forse ignorava che la dottrina ecclesiastica dell’epoca considerava la sofferenza del parto un’equa punizione inflitta da Dio.), caddi al suolo anticipando da bambino prodigio le ieratiche cadute dal seggiolone verificatesi nella pubertà di molti grandi personaggi (da quando ovviamente è in produzione il seggiolone che da un’attenta ricerca pare sia stato brevettato nel 1791,ma per accogliere anziani scomodi che così risultavano controllabili con gli occhi fissi allo schermo delle finestre, obbligata televisione dell'epoca del lumi e messo in produzione nela variante per infanti dopo i collaudi del caso che nonostante tutte le precauzioni causò la morte di circa seicento bambini entro i quattro anni e risultò adeguato allo scopo non prima della prima decade del 1800.)

Di fronte alle grida di mia madre che si accorse dell’accaduto gli addetti alla sala parto, non senza meditare sul rischio che avrebbero corso restando in quel luogo nell’eventualità di una seconda scossa tellurica, accorsero raccogliendo il neonato caduto, cioè io e lo interessarono dalla forma più comune di rianimazione in uso a quell’epoca: una secchiata d’acqua, ridotta a due bicchieri trattandosi di un neonato.

Quel trauma mi avrebbe condizionato tutto la vita anche se apparentemente non subii lesioni o danni di sorta, ma ricevere subito, non ancora battezzato, una bicchierata d’acqua gelida in faccia, mi convinse di quanto dura sarebbe stata la vita per me e dell’invadenza del composto chimico H2O, cioè l’acqua, attraverso le sue termiche trasformazioni, nella mia esistenza quasi che il mio destino psichico avesse assunto da subito le teorie presocratiche e in particolare quelle di Talete da Mileto, con tutte le conseguenze che negli anni questa associazione avrebbe causato.



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