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  RECENSIONE DEL LIBRO "SALMI METROPOLITANI" DI MICHELE BRANCALE  

 
INDOSSARE CON CORAGGIO LA FEDE

Recita un proverbio inglese rappresentando tutte le verità e le generalizzazioni tipiche dei proverbi: bastoni e pietre potrebbero spezzarmi le ossa, ma le parole non mi faranno mai un graffio… E l’estensore dell’articolo da cui ho rilevato questa informazione conclude: e poiché come la maggior parte dei proverbi contiene almeno una parte di verità, ci spiega come mai Amnesty International abbia dedicato la maggior parte dei suoi sforzi a proteggere le persone dalla minaccia di bastoni e pietre.

Dunque secondo questo proverbio la parola, la poesia e le attività artistiche legate ai segni, non possono incidere più di tanto sulla realtà. E questa presunzione, per quanto condivisibile, non è del tutto accettabile tenendo conto, anche, dello strapotere della parola, dei segni, raggiunto ai nostri giorni per effetto del dominio incontrastato e dilagante della comunicazione. E se questa dittatura della comunicazione può far male, come molti sostengono (e sono d’accordo), essa per il meccanismo di compensazione o risarcimento caro a Isidoro di Siviglia, può fare anche del bene.

Tutto questo come premessa necessaria al commento del testo, “Salmi metropolitani” di Michele Brancale, Edizioni del Leone, pagine 175, aprile 2009) per evitare che talune osservazioni possano ritenersi sovrabbondanti rispetto alle relazioni che la poesia può avere con la realtà, con il suo dinamico modificarsi. E del resto l’antica trasmissione orale, forma che potremmo associare alla poesia richiedeva necessariamente identica partecipazione emotiva tra l’emittente e l’ascoltatore che a sua volta amplificava il messaggio in virtù del coinvolgimento emotivo, cioè morale e etico, contribuendo alla ininterrotta catena che ci ha tramandato molte informazioni altrimenti vanificate dal non essere scritte.

L’aspetto stimolante di questo libro, che al contrario della precedente raccolta (La fontana d’acciaio, edita nel 2007 e composta per dichiarazione dell’autore in un arco di tempo assai ampio), è che questi “Salmi” sembrano scritti in una sola notte (convinzione questa respinta dall’autore), quasi una possessione, manifesta nell’alternanza frequente, apparentemente incidentale (per un lettore distratto), dei termini Signore (molto più spesso, forse smembrato nella sofferenza delle cose) e Dio (più raro, a volte minuscolo, quasi distaccandosi dall’usura millenaria).

Senza te si è ossidata la fontana

che dissetava il senso dei miei giorni.

Sono incattivito, mi guardo intorno

per cercare un altro colpevole.

E ancora più avanti:

Ma io sto confidando nel tuo amore.

Tornerò subito dai mie fratelli,

con loro aprirò il cuore al libro santo.

Signore vieni a dare un nome al nulla.

Riuscendo a dare un senso a queste invocazioni si può identificare il, o i destinatari, di questi salmi la cui metropoli di riferimento è davvero indeterminata e vasta, ben oltre le periferie della città di Michele, oltre taluni luoghi che dovrebbero identificarla. E anche i salmi stessi (che nella tradizione si cibano di se stessi – ipse alimenta sibi, sussurrerebbe un salmodiante seminarista), pur nella loro coerenza formale, sfumano nelle destinazioni dei riferimenti metallici assai diffusi nelle metriche dell’autore come a stabilire punti estremi di fusione estranei alla volontà e alle possibilità dell’uomo, della sua intelligenza; rappresentando, alla fine, quel dubbio ontologico che il salmo (tradizionale) nasconde o traveste nella iterazione dell’invocazione, nelle annotazioni preliminari sull’uso e il modo di cantarlo. Ma il numero, centocinquanta, del libro dei Salmi della Bibbia, corrisponde ai salmi di Michele Brancale, e sicuramente non è involontaria coincidenza.

Dunque per dire che non si tratta di salmi “chiusi”, buoni per ogni stagione, ma di “richiami” aperti alle sordità del tempo e dei tempi, e che di metropolitano, pur nei riferimenti fuorvianti dettati dall’autore, ritraggano ben poco, innalzando il pacato “grido” oltre le limitazioni di morene urbane più o meno avanzanti con i loro tentacoli di mattoni e cemento. La metropoli di Brancale è la sua Fede, che subito si fa Giustizia interiore, Amore per il Prossimo, rappresentata nei quartieri del Bene e del Male, nei caseggiati della Sofferenza e della Carità, nelle periferie del Degrado e della Speranza: insomma metropoli che si fa mondo accartocciata nella sofferenza degli uomini.

Preferendo i soldi e la vanità

delle bomboniere, giunsero vecchi

A guardare in tasca quello che non hai

più da dare il tempo: consunti specchi,

si ritraggono alle mani loro e già

lasciano – palpebre congiunte – ricchi

di pupille spente.

Non è radice:

Questa gente appartiene all’appendice.

Ma non solo questo aspetto di Fede qualifica la raccolta mai esondando oltre i codici formali, i versi, i salmi, si susseguono distillando poesia vera nella compiutezza metrica e nelle suggestioni analogiche, falciando immondizie per le strade della sua metropoli e costruendo pazientemente un tempio poetico a confermare quella destrezza da altri e dal sottoscritto annusata nel suo primo libro di versi.

Nell’attesa di cambiare ogni cosa

l’alimentazione dell’arroganza,

La siccità delle proprie ragioni,

la firma sulle giustificazioni.

La notte degli altri si avvera così,

nelle tante somme di un breve tedio.

E anche la notte da sé raggiunge

chi crede di scacciarla, pieno di sé.

Non essere conniventi del sopruso e della sopraffazione, dell’intimidazione civile e morale, pur tuttavia senza dirlo, dichiararlo urlando a squarciagola fino a perdere voce, sensi e vita, fa complici della tirannide (questa complicità latente nella Storia), così come anche non manifestare le proprie intime fedi le svuota rendendole inutili esercizi dell’animo. Per questo apprezzo come Michele Brancale si esponga scoprendosi come molti non fanno preferendo galleggiare le proprie credenze in terre di nessuno, per questo lo stimo nella convinzione, che lui conosce, che le Fedi alla fine si conciliano pur partendo da sorgenti diverse: qualunque fede di natura etica o trascendentale confluisce nell’amore per gli altri, nell’identificazione della civiltà della vita quale ragione imprescindibile da una qualsiasi fede. In questo senso, e non in altri, credo che la poesia di Michele, questi salmi in modo particolare, possano avere parentela con le ricorrenti maree di poesia civile.

Per concludere Michele ha avuto la forza e il coraggio di rivelare la sua Fede e questa rivelazione non è mai ostaggio (o pretesto) dell’ estetica dei suoi salmi e credo che il merito più evidente sia l’aver fuso con equilibrio la confessione di fede vestendola con corretto equilibrio dei versi, e in questo, variando alcuni schemi del suo precedente libro: il pregio più evidente di questi salmi, la cui stesura ha convissuto con quella del precedente senza che tuttavia le righe dell’uno sconfinassero nell’altro e viceversa.

                              Paolo Codazzi



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